Print out for Italians



Intro

Cari connazionali, pensavate di trovare la traduzione del sito in Italiano??
Io vorrei, ma ci vuole troppo tempo a gestire un sito in doppia lingua,
così dovrete accontentarvi di una raccolta di e-mail scritte durante i viaggi (sorry guys).

Io raccomando sempre di stampare per leggere, e magari con davanti un atlante...

 


AFRICA:

ASIA:

EUROPA:





ALLA SCOPERTA DELLE MINIERE DI DIAMANTI (SIERRA LEONE)



Dicembre 2007, Makeni

No, qui non c'e' la guerra, o meglio e' finita. Sono finiti 11 anni di guerra che hanno distrutto quello che c'era da distruggere lasciando ai posteri case bruciate e amputati.
I ribelli sono stati disarmati con l'aiuto delle truppe britanniche, i paesi responsabili sono stati identificati (qualcuno si e' pure scusato), il dittatore Liberiano che finanziava il tutto e' sotto processo e sono appena state tenute le prime elezioni del dopoguerra in cui ha vinto un partito democratico.
Insomma ci sono tutte le carte in regola per iniziare a ricostruire il paese e la Sierra Leone sembra intenzionata a farlo. Come mi ha detto un ufficiale inglese dell'UN:
"O la Sierra Leone si rialza adesso dall'ultimo gradino o non avra' piu' un'altra chance come questa"
Il perche' di tutto questo macello?
E' ben noto: le miniere di diamanti.
Il paese potrebbe benissimo essere il piu' ricco del mondo eppure e' semplicemente il piu' povero, non tra i piu' poveri, ma IL PIU' POVERO! Dove l'aspettativa di vita e' 37 anni (in Italia 81), dove c'e' l'80% di disoccupazione, il 60% di analfabetismo, si muore come mosche di malaria e ci sono tra gli ultimi focolai di vaiolo al mondo.
E' proprio la zona delle miniere la destinazione del mio viaggio che partendo dalla Guinea entra in SL, per poi passare da Freetown e arrivare nella zona orientale del paese al confine con la Liberia.

Il tutto e' iniziato con un simpatico uccello che, durante il decollo, ha deciso di entrare nel motore dell'aereo rompendo delle palette del compressore e obbligando a riatterrare con tanto di show dei vigili del fuoco.
E' stato pero' solo a Freetown che ho avuto qualche momento di scoraggiamento che mi ha portato a lasciare la capitale prima del previsto. In seguito pero' e' stata la sorte a baciarmi in fronte quando la mia strada si e' incrociata con quella di Ben e Miranda, due olandesi che lavorano per un ospedale locale e presi da pieta' mi hanno caricato sulla jeep della loro organizzazione.
Quello che era uno strappo per attraversare una zona di jungla fino alla riva di un fiume, si e' trasformato in un passaggio lungo vari giorni con lo stesso obbiettivo:entrare nella zona dei diamanti.
Non era chiarissimo come poter fare per accedere ad una miniera, l' idea era quella di andare nella citta' piu' grande e trovare qualche aggancio: cosi' abbiamo fatto.
La citta' di Kenema non abbonda certo di guesthouse e un buon
posto dove dormire si e' rivelato l'ex quartiere generale delle milizie antiribelli durante la guerra. Gli hanno dato una bella riverniciata, grattato via un po' di sangue e voila' pronte tante belle stanzette in cui passare la notte.
La sera un po' per l'agitazione di come sarebbe andata il giorno successivo, un po' per il caldo stagnante dentro la zanzariera non riuscivo a dormire. Mi sono messo a leggere un libro scritto da un bambino soldato delle truppe antiribelli che ora vive negli States (grazie Betto!) che racconta, con abbondanza di particolari, ogni sorta d'atrocità che lui ha commesso durante la guerra. Impossibile quindi non pensare a quanto dolore, rabbia e odio sia stato provato pochi anni prima magari proprio in quella stessa stanza.
La mattina gironzolo per la caotica citta' e rimango sorpreso da come tutti i negozi, indipendentemente da cio' che trattassero, comprassero (ma non vendessero) diamanti. Tutto ma proprio tutto basato sul commercio di diamanti, comprese ovviamente le attrezzature per cercarli: pale, palette, setacci....
un po' come l'attrezzatura di Zio Paperone per cercare l'oro nel Klondike :-)
Non passo certo inosservato e il coro di 'Pobui, Pobui, Pobui (white man)!!' mi segue come un eco in qualunque angolo mi infili. Faccio un po' di domande in giro con quell'aria indifferente da 007 all'opera, che attira l'attenzione piu' di un cartello luminoso sopra la testa.
'Sir, won sii diamonds?? I shoo you!'
Tutti la stessa frase, ma di vedere i diamanti a me non frega niente, io voglio vedere una miniera!!!!!
Trovo uno che mi da qualche consiglio:
' Sir, guidi per 27 miglia verso Nord (circa 4 ore), raggiunga il villaggio di Tongo, chieda del capovillaggio, mostri i soldi e qualcosa succederà'

La strada e' cosi' disastrata che non si viaggia oltre i 15 km/h e in piu' arriva il primo check point. Inizialmente mi preoccupo ma, il logo del NGO sulla jeep e' un gran lasciapassare, nessun militare osa bloccarci e chiedere soldi.
Come in ogni altra strada in Sierra Leone le macchine private sono rarissime e l'unica cosa che si vede per la strada sono le jeep dell'UN, stracolmi minibus libici (donati da Gheddafi per farsi perdonare dall'opinione pubblica per aver finanziato i ribelli), capre e gente che cammina nel mezzo della jungla per andare chissa' dove. Non manchiamo di dare passaggi soprattutto per fare qualche domanda, ma appena si nominano i ribelli del RUF le bocche si chiudono e nessuno spiaccica una singola parola.
Lungo la strada villaggi di molte case distrutte e bruciate, con a fianco un capanna di fango in cui vivono gli ex proprietari.
La scena e' sempre la stessa a tal punto che ci si fa anche l' abitudine. Gironzolo all'interno di una delle villette vittime della guerra. Non ha il tetto ma le stanze ci sono tutte; entro nel bagno e c'e' ancora la vasca e il water con lo sciacquone come se i proprietari fossero fuggiti pochi istanti prima.

Il panorama e' unico: una strada di terra rossissima che serpeggia nel verde delle jungla o di quella che era la jungla prima della guerra.
Arriviamo al villaggio. E' domenica e la strada e' colma di gente in citta' per il mercato; scendo dalla jeep e mi sento leggermente osservato.
'Pobui, pobui (white man)!!!'
Che siano arrivati tre bianchi in citta' ora lo sanno proprio tutti, e quindi non e' il caso di fare domande per strada. Ci infiliamo nel recinto di una chiesa cristiana. All'interno un gruppo di donne si gira e mi fissano come se fosse entrato un alieno. Mi blocco, come vedessi una scena vista in qualche film dell'africa degli anni 70. Loro vestono abiti coloratissimi, verde acqua o arancione, che fanno risaltare molto la carnagione scura, con enormi cappelli di paglia, adornati di fiori di stoffa, indossando gioielli e pietre. Sono allineate sulla panchina di legno e tengono in mano le borsette luccicanti . Si devono essere messe qualche unguento perche' hanno una pelle che brilla, come un paio di scarpe appena lucidate.
Qualcuno da dietro:
'Good morning Sir, fra poco inzia la cerimonia, vuole unirsi a noi?'
A parte il fatto che cosi' ricoperto di terra rossa e sudato
come un cammello, mi vergogno, ma in realta' sono qui per un altro motivo. Parto all'attacco:
' Dear friend e se per caso volessi dare un okkiata a qualche miniera di diamanti?'
'Oohhhhhhh diamonds' E gli si illuminano gli occhi...
Allora chiama un altro tipo che contatta al cellulare un altro che alla fine manda qualcuno a prenderci. Il nostro improvvisato accompagnatore non chiacchiera molto, sale sulla jeep con noi e ci indica la strada.
Ammetto fossi un po' nervoso...
Usciamo dal paese e passiamo dei campi per scendere sul fondo di una leggera vallata dove scorre il fiume. Subito, come se si fosse alzato il tendone di un palcoscenico, si apre uno spettacolo inaspettato: centinaia di persone a scavare e setacciare tra la fanghiglia, come fossero tante formiche che lavorano in un enorme formicaio.
Scendiamo e iniziamo a camminare su un sentiero, ci raggiunge quello che dovrebbe essere un po' il Boss, ma non altro che un ragazzotto bello robusto e con la maglietta un po' meno a brandelli degli altri. Gli spieghiamo che lavoriamo per l'ospedale di Makeni (magari io non proprio:-) e questo aiuta a rompere il ghiaccio. Lui subito se ne esce con:
'You wanna tek snaps?'
Sudo freddo, pensando che qualche scatto lo vorrei davvero portare a casa, ma ribatto con un:
' non e' importante e solo se le persone sono felici di farsi fotografare'
Che ovviamente non significa una beneameata fava, ma lui tutto soddisfatto mi sorride e mi stringe la mano.

Iniziamo a camminare tra gli operai:
a cercare i diamanti tutti uomini, eta' massima 25 anni e le donne portano il cibo. Condizioni di lavoro drammatiche e caldo insopportabile, ma erano davvero in tanti. I ragazzi non hanno paga, guadagnano solo quando trovano diamanti. Quindi chi non trova non mangia.
Intorno a me sento tantissime voci chiamarmi, come al solito saluto stile Papa accompagnando il tutto con le sole due frasi di krio imparate.
In molti ad urlarmi:
'Thank you for being here!'
Perche' mai dovrebbero ringraziarmi per essere li???
Secondo me mi hanno confuso con qualcun altro :-)


Chiedo se oggi hanno trovato qualcosa. Lui alza la testa
fa un urlo e dopo poco un ragazzino corre verso di noi,
gli da un sacchettino, lui lo versa sul palmo della sua mano e ne
escono due diamantini grezzi che, in particolare su una pelle scura, brillano come di luce propria.
A lui luccicavano gli occhi, come qui luccicano a tutti quando si parla di diamanti. Se da una parte qualunque persona appena accenni alla guerra si chiude e tace, dall'altra solo a nominare i diamanti gli sguardi si illuminano e le persone si inebriano, iniziando a parlare di carati, purezza, tagli...
E' strano perche' per me in Sierra Leone tra le due cose sembra non esserci proprio alcuna differenza.


Alby

ATTRAVERSO I POSTI DI BLOCCO (SOMALIA)



09 Oct 2007, Lalibela


C'e' una terra Africana incastrata tra il Djibouti, l'Ethiopia e l'ex italiana Somalia, che stufa delle continue guerre, 15 anni fa si e' dichiarata indipendente, rubando il territorio proprio alla Somalia.
Non si tratta di pochi metri quadrati visto che spazia su un'area piu' grande del Nord Italia e conta alcuni milioni di abitanti.
L'hanno battezzata Somaliland, hanno definito i propri confine, una capitale (Hargeisa), una bandiera, un governo, un esercito, un'universita' e coniano (in India) pure una propria moneta.
Inoltre come se non bastasse si sono messi anche a distribuire gli ambasciatori per il mondo. Piccolo particolare nessuno, UN compresa, ha mai riconosciuto lo stato del Somaliland, e quindi risulta uno stato fantasma, ma allo stesso tempo esiste eccome.
Come resistere alla tentazione di metterci piede?
Sto camminando nervosamente per la brutta periferia della capitale Ethiope. Un tipo in rete mi ha fornito delle indicazioni dettagliate, ma mi sembra di essermi gia' perso.
La via dovrebbe essere quella giusta, intendiamoci, non certo perche' abbia un nome o un numero civico.
Cerco un cancello nero.
Ne trovo uno, penso sia quello giusto; busso.
Manca che debba dire la parola d'ordine e lo show sarebbe completo. Apre un tipo e quasi mi vergogno a dirgli che sono qui per il visto del Somaliland. A me sembra piu' che altro una casa privata. Lui fa un cenno e mi accompagna in una stanza. Arriva un tipo, immagino il saccente ambasciatore del Somaliland, e mi fa un po' di domande. Ha l'aria simpatica ed e' entusiasta di dirmi che e' uno dei paesi piu' belli e sicuri al mondo. Mi trattengo dal ridergli in faccia, ma anche lui se la schiattava nel dire una simile cazzata.


Non molto dopo mi trovo in viaggio verso il punto di confine Somalo orgoglioso del mio bel visto. Nessun commento sul fatto che tra una sfiga e l'altra (il mio zainone e' stato perso e l'ambasciata del Dijbouti di ha sbattuto fuori 3 volte consecutive) ci abbia messo ben tre gg ad arrivarci.
La capitale Somalilandese Hargeisa e' tremenda: un cittadone enorme con tanto di boulevard principale a 2 corsie, ma neppure un metro quadrato asfaltato. Piove tutti i giorni e in pochi minuti c'e' una spanna di fango ovunque.
Noto subito un' assurdita': il posto guida e' sulla destra come in Inghilterra, ma guidano tenendo la corsia di destra come in Italia. Hanno anche il monumento nazionale: un MIG Somalo abbattuto che ora fa bella mostra nella piazza centrale. Tutt' intorno raffigurazioni di bambini con braccia e gambe amputati: terribile!
Sembrano aver visto davvero pochi bianchi ultimamente e rimango un po' stranito nel vedere persone fermarsi con la macchina in mezzo alla strada per salutarmi, chiedermi da dove venga e dirmi che il Somaliland e' safe. Piu' persone saluto piu' persone si avvicinano e allora mi affretto a cercare un posto dove dormire. Nessuno che mi chieda una lira, intendiamoci, semplicemente tanta curiosita' di comunicare. Niente razzismo verso di me e niente piu' stronzi Etiopi che ti urlano Faranjii (bianco) quando cammini per strada.
Cerco per strada un tipo che mi cambi 100$, chiedo solo banconote del massimo taglio e infatti mi da 1.200 (dico milleduecento) banconote di Shillings Somalilandesi.
E dove diavolo li metto?
E' come avere 12.000 euro in banconote da 10 euro!! Riempio completamente lo zainetto, ho soldi da tutte le parti e mi sento un camioncino portavalori!

Il giorno dopo decido di raggiungere la costa, in particolare la citta' portuale di Berbera proprio di fronte allo Yemen, a poco meno di 200km da Hargesia. Avevo gia' in tasca una serie di dritte, tra cui la certezza che la strada fino alla costa fosse sicura e che ci arrivasse qualche sorta di mezzo pubblico.
Mi indicano la macchina (non un minibus!!) che parte per Berbera. A che ora non si sa, perche' parte solo quando e' piena. Ci stanno 3 persone davanti, 4 dietro e 2 nel baule, insieme ai bagagli ovviamente, che per qualche strana fobia non vogliono mettere sul tetto. Quando partiamo in tutto siamo in 9. In quanto l'ospite d'onore, ho ben visto di piazzarmi davanti, evitando l'opzione baule.
Dopo qualche km ci ferma un posto di blocco. I militari discutono animatamente sul da farsi con lo straniero biondo e dopo pochissimo mi ritrovo in caserma. Intorno a me una trentina di persone che mi osservano e commentano tra di loro. Finalmente dalla porta entra un tipo di una certa eta' con un'uniforme stranamente pulita, qualche stelletta appesa e varie cordicelle penzolanti. Prende in mano il passaporto, scruta il visto, alza lo sguardo e, con aria decisa, mi dice:
"Sorry Mr Alberto ma non puo' proseguire se non e' accompagnato da una scorta"
Io controbatto:
"Cosa!??! Ma il Somaliland e' il paese piu' sicuro al mondo, me l'hanno detto anche all'ambasciata in Ethiopia!"
Abbiamo discusso per mezz'ora sul fatto che lui mi lasciasse proseguire.
Sapevo che il problema principale per loro fosse non compromettere la loro reputazione internazionale e quindi anche se non ci sono dei veri pericoli, sono ossessionati all'idea che possa accadere qualcosa ad uno straniero in Somaliland. Avevo intuito che fosse un po' indeciso e contavo sul far breccia proprio sul suo dubbio. Infatti poi ho puntato sul suo orgoglio 'Somalilandese': e' bastato dirgli che se mi avesse fermato io non avrei potuto vedere le bellezze del suo paese e promuoverle nel mio, che improvvissamente se ne' uscito con un "OK you go go, no problem".
Mi ha scritto una lettera di lasciapassare (su mia insistenza) e mi ha garantito che avrebbe contattato via radio gli altri check point per farmi passare.
Se c'e' un responsabile di tutto il casino che e' successo dopo e' sicuramente lui. Un militare che occupa un posto di commando non si puo' permettere di farsi convincere da un bianco biondo curioso che ha la meta' dei suoi anni.
Avrebbe dovuto dirmi di no e rimandarmi indietro!
Tutti e nove ripartiamo. La strada e' assolutamente deserta e semi-asfaltata, cosi' l'auto sfreccia a buona velocita'. Intorno a me un paesaggio lunare con tante palme, dromedari vaganti e brucanti, qualche semplice guado, qualche villaggio di una miseria sconfortante e una paio di carcasse di carro armato che avevano l'aria di aver fatto piu' di una guerra.
Passati non piu' di 40 km che ci imbattiamo in un altro posto di blocco.
Tra i militari e il guidatore inizia una certa discussione. Lui tira fuori il lasciapassare. Loro lo prendono e si allontanano. Dopo un po' ritornano e glielo buttano letteralmente in faccia. Allora scendo dall'auto e tento di spiegargli che loro dovrebbero contattare la caserma della capitale per avere la conferma. Ma non mi sembrano molto entusiasti del suggerimento. Aspetto un po' che qualcosa succeda ma non succede nulla. I miei compagni di viaggio Somali iniziano ad innervosirsi e in particolare la piu' agitata e' una grassa donna Somala che siede proprio dietro di me.
Insisto nel voler parlare con il loro capo e mi portano da un militare seduto a gambe incrociate su un tappettino sotto un albero.
Lui mi fissa per un attimo, poi se ne esce con:
"You are a journalist! We don't want journalist"
"Se pensi che io sia un giornalista, controlla il mio zaino e vedi se trovi anche solo un appunto!"
In realta' non era una buona idea perche' se avesse controllato avrebbe trovato lo zainetto strapieno di soldi (1.200 banconote del massimo taglio) e in una terra che pullula di contrabbandieri non e' una bella cosa., ma ovviamente non ha controllato.
Lui scuote la testa ed e' irremovibile e mi dice che quella sbarra (che altro non e'che un palo della luce) non si alza. Insisto, ma non serve.
Torno in auto e la donna grassa continua a rompermi le palle.
Non passa molto che vedo un passaggio di cellulare tra i militari. Sento il tipo dello zerbino urlare qualcosa, il guidatore improvvisamente mette in moto, alzano la sbarra, e ripartiamo.
Non ho capito nulla ma va bene.
Avvicinandoci alla costa il paesaggio diventa sempre piu' lunare ed ogni tanto dal nulla si eleva qualche collinetta alta un centinaio di metri dalla forma incredibilmente regolare.
La macchina sfreccia per un'ottantina di km, finche' di nuovo una sbarra a forma di palo della luce ferma la nostra corsa. Qui sono meno gentili e in piu' fa un caldo bestiale. Non c'e' piu' l'aria fresca e la pioggia della capitale, ma bensi' un vento rovente che non aiuta la mia pazienza.
Non ho piu' neppure il lasciapassare perche' se le' tenuto il tipo dello zerbino che mi dava del giornalista. Ora chiedo subito di parlare con il capo. Sicuramente non puo' essere ancora un tipo sotto un albero perche' di alberi non ce ne sono. Sorpresone, mi fanno entrare in una baracca. Dentro il pavimento e' di terra battuta e c'e' un materasso, su cui e' sdraiato un uomo tutto sudato; parla a bassissima voce e mi devo avvicinare per sentirlo. Fa chiudere la porta e mi guarda come in attesa di una confessione.
Io cerco di rompere un po' il ghiaccio con una battuta, ma lui non sembra molto in vena di cabaret:
"Mister I know you are from 'SI AI EI' "
Io raggruppo i pochi neuroni non ancora arroventati dalla calura e realizzo che sto qui pensa io sia della CIA.
Senza meditarci troppo, esordisco:
"pensi che se io lavorassi per la CIA mi sposterei su un auto con schiacciato tra 9 somali?!"
Lui con un tono sicuro:" Certo che si"
Io rimango interdetto senza parole.
Poi aggiunge: "meta' dei bianchi che passano di qui lavorano per la CIA perche' l'America pensa che questa possa diventare una nuova base di Al Queida. Sorry da solo di qui non passi'
Mi prende lo sconforto perche' qualsiasi prova avrei potuto portare a favore del fatto che io non sia della CIA, sarebbe stata contemporaneamente la migliore delle coperture. Nel frattempo anche da dentro la baracca sento la grassa somala che insulta tutto e tutti. Quello che e' un tragitto di al max 2.5 ore, sono diventate 5 a cuocere sotto il sole.
"Va bene, non ti posso dimostrare che non sono della CIA, torno indietro!"
Ovviamente se fossi dovuto tornare indietro avrei dovuto farlo con la macchina con cui ero arrivato. Ora a quasi 200 km di distanza ero proprio curioso di vedere come i militari gestivano la cosa. Certo era che non si tenevano una gatta da pelare come un bianco a passare la notte con loro, ed ero sicuro che i 9 somali si sarebbe rivoltati in gruppo: infatti cosi' e' stato. A capo della protesta adesso non ero piu' io, che me ne stavo seduto in auto a mangiare una banana, ma la grassa somala che sbraitava spalleggiata del guidatore che ci avrebbe rimesso ovviamente tutti i soldi !!
Hanno dato filo dal torcere al tizio del materasso che mi deve aver odiato assai. Dopo un po' e' stata trovata la soluzione: un soldato armato sarebbe venuto con noi.
Io subito intervengo, "Va bene, ma dove diavolo lo mettiamo?" .
Loro mi guardano come si guarda uno scemo e poi girano lo sguardo verso l'auto.
Tre min dopo ripartiamo non piu' in nove ma in dieci, con il militare (e il suo Kalashnikov) insieme con gli altri 2 nel baule. Questa e' la prova scientifica che il corpo umano sia comprimibile!
Finalmente arriviamo a Berbera che e' oramai sera. Il guidatore diligentemente mi porta subito alla caserma per registrarmi e poi trovo un posto da dormire.
Faccio un giro per la citta', vado a vedere il mare: esattamente in questa zona il Mar Rosso si mischia con l'Oceano Indiano, creando un ambiente esotico che contrasta incredibilmente con le enormi carcasse di petroliere che dominano l'orizzonte in prossimita' del porto.
Magari un domani in cui lo scontro delle civilta' islamico- cristiana suonera' solo 'vintage', un po' come lo suona ora la passata guerra fredda, qui ci sara' un villaggio turistico. Gia', chissa': per ora verso Nord le prima chiappe bianche a prendere il sole sono quelle in Egitto a 3000km da qui , scorrendo la bellezza e la miseria delle coste Eritree e Sudanesi. Verso Sud non ci sono molti Km per entrare nella zona piu' distrutta e feroce del mondo: l'ex colonia italiana Somala, dove Mogadishu e' una Baghdad senza neppure la 'green zone' e neppure il governo osa risiedere nella capitale.
Ho fame, ho voglia di pesce e trovo un posto carino sul mare. Sto ancora leccando un bel liscone, quando arriva un gruppo di uomini con uno in abiti quasi tradizionali. Io dentro di me mi domando se sia arrivato il circo, ma poi intuisco un'aria seria. Il tipo in costume da carnevale mi fa delle domande., gli altri stanno intorno. Io subito gli dico con tono un po' strafottente che non sono giornalista e non sono della CIA. Lui sorride, prende il cellulare e inizia a telefonare. Parla in Somalo, ma intuisco che mi sta descrivendo, mi guarda i capelli, i vestiti,…
Io nel frattempo sono ancora impegnato con la lisca del mio pesce. Arriva Ali, il proprietario del ristorante, che avevo conosciuto poco prima. Mi sembra un po' agitato e tiene la testa china. Si avvicina e mi parla nell'orecchio:
"hai davanti il comandante responsabile di tutta questa regione costiera del Somaliland, porto e aeroporto incluso".
Subito mi spiace di averlo un po' ignorato, mollo la lisca e giro la sieda verso di lui. In quel momento lui finisce la telefonata, scambia due frasi con uno dei suoi uomini, si alza, mi stringe la mano e il plotone se ne va.
Io come al solito non ho capito nulla.
Adesso quello agitato sono io e interrogo Ali.
"Mr Alberto, il comandante ha detto che non gli interessa a che ora tu vada a dormire, che strada tu faccia, a che ora ti alzi domani mattina e dove tu vada, ma, finche' rimani nella sua regione, qualsiasi cosa tu faccia ci deve essere sempre un occhio su di te".
"Bene", penso "adesso, come non mai, posso veramente fare i sogni d'oro"
Riaddocchio la mia lisca e me ne rimpadronisco.

Alby



 

VIAGGIANDO SU UN ALTRO PIANETA (PAKISTAN)



October 2006 , Peshawar (Pakistan)

… non aiuta arrivare a destinazione quando su 3 voli te ne cancellano 2,
specialmente quando il tempo e' contato e tu non ti puoi permettere di fare il giro del mondo in bus.
Alla cancellazione del primo volo, quello per Londra, si ripara in fretta, mentre e' stata dura sostituire quella specie di deltaplano a motore che dalla capitale Pakistana mi avrebbe dovuto portare nel cuore del nord del paese sorvolando la catena Himalayana.
"C'e' cattivo tempo a nord, ed e' troppo rischioso volare, Mr Alberto, sorry. Riprovi domani, magari…"
Con questa frase che mi risuona nelle orecchie vado alla ricerca di un bus.
Lo trovo.
Da fuori non e' male, dentro e' peggio, ma non importa.
1.5h di volo verranno sostituite da 21h di bus: sono un po' scocciato perche' volevo volare sopra l'estremista regione del Koihstan anziche' attraversarla, ma mi consolo pensando che sara' in notturna e quindi sono meno visibile o forse cerco solo un pretesto per pensare che poi non e' andata cosi' male.
Dopo qualche ora finalmente si parte.
Sull'autobus non mancano certo le persone che vengono a salutarmi.
Inizio ad avere fame, ravano nello zainetto e in silenzio rosicchio i krakers portati da casa. Siamo nel Ramadam, qui nessuno mangia e beve e soprattutto non ci sono molti posti in cui mangiare o bere dall'alba al tramonto.
Di donne in giro se ne vedono davvero poche, e quelle poche che ci sono sembrano strisciare lungo i muri e sfuggire ogni sguardo.
Impossibile tentare alcuno scatto.
Le ore passano e il bus finalmente si ferma quando mancano 20 minuti al tramonto,
Io non solo ho ancora una fame della Madonna, ma tengo pure la nausea dei krakers!
Scendono le donne, entrano nel "ristorante" e si mettono dietro un tenda. La tenda si chiude e poi scendono gli altri.
Sono in tanti ad insistere per offrirmi da mangiare. L'ospitalita' e il rispetto verso di me sono imbarazzanti. Per ammazzare il tempo vado a fare un giro nelle cucine, pessima idea, torno indietro e mi siedo.
Mancano 10 minuti al tramonto e mi ritrovo con tutti in questa semioscura stanza con un gran piatto di datteri davanti. Gli altri si limitano a guardarlo, io ne metto uno in bocca senza pensarci piu' di tanto. Mentre sono li' che mi ciuccio il mio amato dattero arriva da dietro un tipo molto distinto con la sua lunga vestaglia bianco carta da parati, una penna nel taschino, dicendomi con una certa eleganza:
"Mr Alberto, io sono uno studioso di filosofia islamica all'universita' Karachi, lei segue il Ramadam?"
Io come se niente fosse sputo il nocciolo e ribatto:
"Ovviamente si!"

Al tramonto (per convenzione alle 18.00) parte una sirena stile antiaerea e tutti si iettano sul cibo, cioe' suppongo che lo abbiamo fatto perche' io ero troppo occupato a mangiare per alzare lo sguardo.
E' notte fonda quando finalmente si fa un'altra sosta. C'e' un gran fracasso, sono intontito e non capisco il nome della citta' nonostante me l'abbiamo ripetuto varie volte. Scendo.
Ho bisogno di un po' di secondi per focalizzare tutte le bancarelle.
Ne vedo molte: vendono carne, scatolame e alcune di soli ombrelli. Ombrelli?? Ma se qui cadono 2 gocce all'anno?
Mi avvicino le guardo meglio: sono fucili e armi varie.
Adesso so dove siamo: nel Kohistan.

Le ore passano e arriva anche l'alba. Finalmente posso vedere cosa c'e' intorno a me: un'alta e stretta valle nel cui fondo serpeggia un turbolento fiume color perla costeggiato da picchi innevati che svettano tutti tra i 6000 e 7000 m con il Nanga Parbat che domina la scena dai sui oltre 8000m.

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E' oramai passato qualche giorno e la strada che si dirige a Nord si e' fatta stretta, scavata nella roccia e spesso sterrata. Proseguo su un minibus, una furgoncino in cui in 3 file di sedili riescono a stoccare anche 20 persone, e quelle che non ci stanno si attaccano dietro.
Il mezzo arranca sulle salite ripide,
Ma appena trova un pezzo in piano corre come un pazzo.
Oramai ho imparato a non guardare per cercare di capire dove diavolo appoggiano le ruote quando devono avvicinarsi al fianco del dirupo per far passare un altro mezzo.
E' proprio quando l'autista sta dando il meglio di se nel suo sentirsi rallista che sotto tutta sta' carriola si sente un bel botto.
Il mancato rallista accosta.
Scendono prima le donne e vanno tutte dietro il furgone,poi scendono gli uomini e vanno tutti davanti.
Stiamo fermi un bel po', il tempo di smontare, rimontare, rismontare ruote e mica ruote.
Sembrano tutti scoraggiati, quando poi si riuniscono a parlare. Allora sembrano aver deciso.
Vanno per alzata di mano, non so per cosa e onde evitare di offrirmi volontario per cio' che non so, non la alzo e sembrano come dividere il gruppo. La maggior parte (donne comprese) salgono su un altro mezzo che nel frattempo si era fermato e io mi ritrovo con l'autista e due altri sul furgone di prima che riparte.
Non ho capito niente, domando a uno dei due tipi e mi risponde :
"Non sono riusciti a riparare il guasto e l'hanno sistemato con una pietra per bloccarlo temporaneamente fino al primo garage"
Io sobbalzo preoccupato:
" non sara' mica un problema ai freni??"
"ma no!!!!" , e se la ride pensando allo straniero che si preoccupa per nulla.
Io allora, mentre il pulmino prende velocita', mi sento piu' rilassato e mi stendo sui sedili vuoti, nel mentre lui si gira aggiungendo con molta leggerezza:
"e' il giunto del volante"
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Sono arrivato nell'estremo nord del paese dove Afghanistan e China si incontrano. I mezzi pubblici che arrivano qui sono radi e spesso l'autostop e' inevitabile. Non sono cmq molti i veicoli che passano e le attese possono essere un po' lunghe, ma ne vale la pena vista la coreografia di montagne innevate. E poi non c'e' mezzo che non si fermi. Il tutto in un inaspettato clima di sicurezza e tranquillità.
Una mattina ero proprio in attesa di un passaggio quando vedo in lontananza un puntino bianco.
Si ferma
E' una specie di Citroen AX.
E noto con dispiacere che contiene gia' numero 3 pakistani + grosso trasformatore (chissa' come diavolo ce lo hanno infilato lì?!). Impossibile starci, ringrazio e mi allontano.
Il tipo insiste. Con decisione scende dalla macchina prende i miei due zaini, li incastra intorno al trasformatore, spinge davanti un sedile, mi mette sulle ginocchia dell'altro, mi guarda e mi dice con il tipico Inglese Pakistano:"vedi che cera posto?"
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Sto passeggiando per un paesino alla ricerca di qualche esperienza Pakistana. Sento bambini ridere e giocare. Seguo le voci: e' una scuola, voglio visitarla. Dopo pochi minuti sono nell'ufficio del preside e mi presento. Non c'e' nessun problema e mi fa accompagnare da un insegnante. Entro in una stanza in cui ci saranno una 30ina
di ragazzi seduti su panche di legno con in mano il Corano. D'istinto si alzano ma rimangono basiti dall'ospite inaspettato. Mi presento e subito cala il silenzio.
"E' l'ora di religione Islamica", mi spiega 'insegnante, "e' l'unica materia insegnata in urdu (ndr: pakistano) tutte le altre solo in Inglese
Provo a coinvolgere un po' la platea e chiedo chi sappia dove sia l'Italia.
Momento di imbarazzo, poi si alza una voce dal fondo:" in America!!"
Io sbianco e, vista la poca benevolenza verso il nuovo continente, subito correggo :" chiariamo che l'America e l'Italia si trovano in continenti diversi e quindi proprio non centra nulla!".
Mi metto d'impegno:"sapete dove' la Germania?"
Silenzio
"e la Francia?"
silenzio
impossibile da spiegare a parole, andiamo alla ricerca di un mappamondo nella scuola.
Lo troviamo e suscita stupore la vista di questo strano stato a forma di stivale.
Ci prendo gusto rimango un po', poi capisco che ho rotto abbastanza ma nessuno osa dirmelo e mi congedo.
Passo a ringraziare il preside e lo trovo con altri 3 docenti
"si sieda please mister Alberto"
mi metto comodo nella speranza di scroccare un te, lui mi guarda abbastanza serio e lancia subito la bomba :
"cosa ne pensa di mister Bush e il ruolo dell'Italia in Iraq"
subito mi frulla in testa "Ecco lo sapevo adesso chimi tira piu' fuori da sta situazione?"
Lui era determinato e direi abbastanza incacchiato soprattutto con l'ONU.
La sapeva molto lunga e i suoi lo supportavano.
E poi 4 contro 1 non vale!
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Sempre inscatolato come una sardina pero' questa volta il minibus come al solito non corre come per sperimentare come ogni volta la tenuta dei pneumatici. Anzi va lentamente.
Non me lo spiego, ma c'e' molta gente dei villaggi sulla strada.
Io sono con il naso spiaccicato al finestrino quando vedo un bello schieramento di giovani con un fascia gialla e con le foto di Khomeini.
Poi uno su un camion con le casse e il microfono che li incita.
Urlano come dei pazzi. Chiedo alle persone intorno a me, ma nessuno parla alcuna lingua che io conosca.
Spero ardentemente che non sia quello che penso e invece ne ho conferma
nel vedere un gran cartellone: KILL AMERICA
Mi si stringono le chiappe
Chiarisco a tutti il minibus: "io Italiano!! Italia, spaghetti, pasta, del Piero..."
Si gira uno e mi rassicura:" non c'e' l'hanno con le persone ma con il governo,e tu sei comunque l'ospite, pero'" aggiunge" sembri davvero Americano" (bel rassicuramento, meglio se tacevi)
I fanatici bloccano tutto cio' che passa in quel momento e quindi
anche il pulmino. Quasi tutti i passeggeri scendono, io no.
Inizia l'orazione del maniaco con il microfono, partono inni e applausi di pochi ma rumorosi, gli altri guardano e basta.
Inizia il falo' delle bandiere americane. Devono aver usato benzina perche' fanno una gran colonna di fumo.
Finito il falo' liberano la strada e fanno passare i mezzi uno ad uno.
Io sono li' di fronte al finestrino, tutti mi vedono, ma nessuno mi dice nulla o mi fissa in alcun modo.

In questo momento sono nella grande citta' di Peshawar, quella che si definisce una specie di enclave Talebana sul confine tra Pakistan e Afghanistan.
Qui davvero sembra di essere sulla scena di un film, ma il rito delle persone che ti suonano passando i macchina, i mezzi pubblici che strombazzano per salutarti e i passanti che ti stringono la mano e' lo stesso del nord del paese.
"Qui arrivano pochi stranieri perche' dopo l'11 settembre hanno paura" mi dice amareggiato il tipo della guesthouse in cui dormo.
La sera stessa sono a mangiare un bel pezzo di montone arrostito in un locale sulla strada.
Rimango impietrito quando un tipo seduto ad un tavolo vicino mi vede, si alza, viene verso di me, mi abbraccia e teatralmente mi dice:
" tu straniero dovresti aver paura di me, io sono di Peshawar quindi un terrorista!!"


alby




 


TRABOCCHETTI E MATRIMONI (UZBESKISTAN)

Agosto 2004, Buhara


Caro Babbo,

finora tutto bene, fortunatamente senza grandi intoppi, a parte qualche trabocchetto. Appena arrivato a Tashkent sono andato alla ricerca del consolato kirgico per il visto. Arrivo lì. Chiedo alle guardie. E loro mi fanno compilare un po' di scartoffie, dicendo che per il costo e le tempistiche dovevo chiedere al console (?). Aspetto, aspetto, aspetto e finalmente entro in sta' casetta dove c'e' un tipo che mi mostra un foglio, rigorosamente in russo, dove dice che per il visto ci vogliono 7 gg lavorativi.
COSA?!?!?!?
NO WAY che io sto 10gg a Tashkent.
Glie spiego un po' e lui non ci mette molto a dirmi che per me (ovviamente) avrebbe fatto una speciale procedure express: visto in 15 minuti alla modica cifra di 80$. E così e' stato!!

Mentre sono in periferia della capitale camminando tranquillo tranquillo mi sorpassa un tipo che improvvisamente raccoglie un pacco di dollaroni da terra. Inizia ad esultare ringraziando Allah letteralmente con le lacrime agli occhi. Poi mi dice che se non dico nulla del ritrovamento facciamo 50-50, io esito per un 10ina di sec un po' confuso in quanto nello zaino avevo un pacco di dollaroni legati con un elastico verde molto simile solo più chiaro. Ma poi realizzo che non potevano essere miei e gli dico che io non ne voglio sapere nulla. Lui rimane molto deluso appena mi sente parlare in russo (i russi non sono considerati i polli come gli stranieri, anzi.) ma mentre continua a dirmi di fare 50-50 per il mio silenzio arriva un altro tipo che chiede a me se ho preso dei soldi da terra. colgo il momento di confusione per filarmela. I due rimangono a guardarsi intristiti per la truffa mancata.. Peccato il primo era stato così bravo che veramente meritava io ci cascassi.
L'inganno probabilmente scattava nel momento in cui io avrei preso parte dei $, l'amico me li avrebbe richiesti indietro reclamando in seguito che ne mancavano alcuni.
Qui tutti parlano russi, una buona parte parla uzbeko, solo una cera percentuale e' in grado di leggere l'alfabeto romano introdotto al posto del cirillico dal governo dopo l'indipendenza. Cmq tra di loro un po' parlano russo un po' parlano uzbeko e scrivono sempre comunque in cirillico.
Una cosa che ho notato e' che hanno una gran voglia di chiacchierare ed io certo non li deludo anzi, secondo me molti pensano che io abbia un grave problema alla lingua che mi obbliga a muoverla sempre.
Lungo l'infinito tragitto per Samarcanda tra le pianure Uzbeke coltivate a cotone due signore si sono alternate di fianco a me: La prima mi ha raccontato dei suoi figli: I maschi (23 anni) che non hanno i soldi per sposarsi, , mentre aspetta che la femmina (15) compia i 18 per cuccarsi il danaro, infatti qui vige la malsana consuetudine che sia l'uomo a portare i soldi e la donna aspetta a mani vuote. Per fortuna in Italia non funziona cosi!!!!!!!!!! :/) Quando le ho detto che non ero sposato:SCIAGURA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Non esser sposato a 30anni!!! Probabilmente ha pensato fossi gay!
L'altra donna che a vederla non le davi una lira. Invece si e' rivelata essere prof di mate e fisica e parlava taijko, turko, uzbeko, e russo che tra di loro sono lingue di radice molto differente mi deve aver preso in simpatia e mi accompagnato fino al centro di Samarcanda, dandomi il suo indirizzo e insistendo di andare da lei se non avessi trovato posto da dormire. Domani pensavo di passare a trovarla....
Oggi in Samarcanda mi sono imbattuto in 3 studenti universitari che come tanti qui volevano fare pratica di inglese e mi hanno accompagnato per la città,e poi in una moschea- mausoleo dove probabilmente sono rimasti delusi quando hanno iniziato a pregare in estasi e io sono rimasto tranquillo a guardali della serie:" se piace a te piace anche a me, e continua pure."
Ma sono stati così gentili e poi hanno intermediato con i guardiani per farmi pagare la metà...
La ciliegina sulla mela e' stata la sera quando stavo mangiando in un "ristorante" e sentivo un casino infernale. Vado al piano superiore e mica mi becco un tipico matrimonio uzbeco con centinaia di invitati e non so quante donne in abiti con fronzoli e brillantini vari che ballavano che sembrava di essere al circo? Me la rido per 15 min, parlo con un po' di persone per chiedere l'età dello sposo e della sposa, poi scendo ancora, mentre sono giu' mi viene in mente che potrei fare un po' di foto. NON L"AVESSI MAI FATTO!!!!!
Vado su e inizio a ballare come un cretino (cioè come loro) mi si mettono tutti intorno, le donne poi sembrava avessero in testa un abat-jour e chiedo se posso fare una foto. Mi prende un tipo da dietro e mi dice di no se non avevo prima fatto un brindisi con la vodka. Io accetto, e poi un secondo e poi un terzo e inizio a fare foto. La gente litigava per mettersi in gruppo intorno ad un tavolo. Letteralmente mi abbracciava dicendo "mio amico, viva la sposa e bevendo bevendo.tutti ubriachi, compreso me dopo il primo quarto d'ora" ad un certo punto sono andato a fotografare la sposa che serissima con lo sposo tenevano i soldi i mano, mentre gli invitati glieli strappavano per rimetterli sul tavolo..bho!!!!!!!!!!!!!
Poi mi ha attaccato bottone una tipa tutta fronzoli e fronzolini incaccchiata perche' non le avevo fatto foto, sta qui non mi mollava piu' nel suo russo da ubriaca dicendomi che il prossimo anno doveva andare con non so chi in America. Morale della favola: un rullino fatto fuori tra gente ubriaca e donne sui 50 con atteggiamenti iperprovocanti stile drive in anni 80, sono tornato alla dimora strisciando e ancora adesso non so chi a pagato la mia cena al ristorante prima che io salissi al matrimonio.
Cmq adesso mi trovo in Samarcanda, in un posto paradisiaco che piu' che una citta' e' un gioiello turchese e dorato. Ci sono 40 C, ma io non li sento affatto, sara' per il clima secco, sara' per le fontane ovunque, sara' per il verde, ma si sta bene. Sono insieme ad un tedesco che sta facendo il giro del mondo da 14 mesi, e un californiano che vive a mosca con la sua ragazza russa che mi da ripetizione gratis di russo la sera.. sto divinamente!!!!!!!!!!!!!

Baci abbracci

Dasvidania

Alby

PS: e' impressionante il numero dei posti di blocco della polizia lungo le strade, fortunatamente mi mimetizzo bene negli autobus pieni di Uzbeki.



 

VITA DA NOMADE (KYRGYSTAN)



Agosto 2004, Bishkek

Oramai sono in giro da un 20ina di giorni, ma mi sembra di essere partito l'anno scorso, come se fossero passato due stagioni: una in cui mi sono stato dal caldo (40-45 C) nel deserto del Kyzylkum (West Uzbekistan) fino al punto di fare retromarcia, l' altra in cui mi sono congelato come un tacchino in freezer in un campo estivo degli allevatori oltre i 3000m nel cuore del Kyrgystan. Dopo la prima email ho continuato a viaggiare in Uzbekistan verso ovest per un migliaio di km mentre la temperatura saliva e i campi di cotone scomparivano per lasciare posto a dune di sabbia bianca e sassi addobbate qua e là da bassi cespugli verdoni. Sono arrivato fino ad una città (ex fortezza) che mi ricordava la Bam Iraniana (quella rasa al suolo dal terremoto). Stavo tentando di scendere dalle mura della città in un punto non propriamente adatto, mentre un anziano mi sollecitava ( del tipo "ke sei scemo??) a tornare indietro, ma alla fine ce lo fatta e lui tutto esaltato manda fuori la figlia con una bacinella per farmi lavare le mani invitandomi in casa. Una casa poverissima, due stanze di cui la prima e la principale ricoperta di tappeti, con al centro una colonna di legno intagliata che sorreggeva l'alto tetto e un piccolo televisore in un angolo. Questo era tutto quello che c'era. Mi (anzi, ci, perchè all'epoca stavo viaggiando con una russa e un californiano) fa accomodare e tira fuori tutto quello che ha da mangiare e da bere (probabilmente la cena dei giorni successivi),e inizia a raccontare la sua tortuosa vita. Non c'e' stato verso di rinunciare al mangiare per non privarlo, in quanto lui era semplicemente commosso dal fatto che noi accettassimo e io ogni "piroghi" che ingurgitavo mi sentivo a disagio.
Niente Mar d'Aral: il tempo scarseggiava, il caldo aumentava e ho deciso di puntare verso il montuoso e piu' fresco Kyrgystan, ma non senza aver stupidamente accettato un invito in una "banija russa".
"E' come una sauna con un massaggio e c'e' anche la piscina" mi era stato detto!
Il posto era nella periferia di Buhara in perfetto stile supersovietico ultra decaduto : praticamente come una prigione: porte in acciaio supercorrose. La custode, tipica russa super cafona, non credeva ai suoi occhi che una straniero entrasse lì dentro. La sauna era una stanza di cemento in cui entravano due grossi tubi che, dopo aver girato due altrettanto corrose valvole, buttavano fuori vapore a temperature insopportabili. La piscina era una vasca 2x2m profonda 1 m completamente spiastrellata e cmq vuota. Io che di caldo ne avevo eccome, non ho osato metterci piede, ma la parte migliore è stata il massaggio: entra un serio russo, con il quale prima avevo lungamente contrattato. Si spoglia in costume e mi fa sdraiare. A quel punto inizia a tirarmi dolorosamente la pelle, io mi contorco," e' per tirar vita lo strato morto della pelle" mi rassicura, mentre continua a ripetere ad alta voce
" RILASSATI, RILASSATI, non sei rilassato!!"
sfido che non lo ero. E non vi dico quando e' arrivato ai capelli: ha iniziato a tirarli, sempre per la stessa storia di tirar via quelli morti. La tortura e' durata 20 min e ho dovuto pure pagare (l'equiv di 1.2 euro) per farmi strappare i capelli. Morale della favola: ho meno capelli di prima.

Passano i giorni, passano i km e arrivo nel cuore del Kyrgystan, dove ho avuto l'esperienza piu' incredibile di tutto il viaggio. Premessa: il Kyrgystan e' una specie di Nepal al confine occidentale della Cina dove ci sono piu' di 4 cime sopra i 7000 m ed e' un paese molto rurale. Una specie di Laos dell'Asia Centrale per intenderci.
Arrivo in un paesino piccolissimo e appena scendo dal pulmino dopo non so quante ore schiacciato come una sardina vedo uno straniero! e' un danese, molto vichingo, che avevo conosciuto in Uzbekistan due sett prima. Lui stava partendo verso un lago d'alta montagna dove ci sono degli accampamenti estivi di yurt (grosse tende) degli allevatori. Da solo non me lo sarei mai potuto permettere, perche' il costo del mezzo per superare il passo non e' una scherzo, ma con lui, un giornalista inglese che lavora a Mosca, e un Australiano che lavora all'ambasciata a Mosca si poteva fare. In quel posto che già mi sembrava alla fine del mondo, figuriamoci proseguire. Dopo aver riempito le taniche di benzina siamo partiti con una vecchia jeep russa (guidata da un Kirgiko) su strada di montagna per 50 km fino a 3400m. Poi la strada finisce e per altri 20km fino ad un lago in mezzo alle vette, con sterminato prati, gruppi di tende degli allevatori lontani vari km tra di loro, e cavalli, cavalli e ancora cavalli sparsi ovunque.
La mattina e la notte faceva un freddo della madonna!!!!!!!!!!!!!!!!!! Il max che potevo fare era mettermi addosso tutto quello che avevo: le T-shirts, la felpa, i pantaloni..... in quanto non ero certo attrezzato per una cosa del genere. Per pochi dollari ci siamo piazzati in una tenda. Subito ammazzano e scuoiano una pecora per cena, non si butta niente: le viscere raccolte non so per cosa (spero non per la zuppa della colazione) e il sangue da bere ai cani. Quando pulivano la pelle dalle carni e gironzolavo con fare un po' impietosito e schifato non avrei mai pensato che la stessa notte l'avrei desiderata piu' di ogni altra cosa. Alla fine ho passato 3gg in questo posto lontano km e km da ogni avamposto civile e accessibile solo pochi mesi all'anno.
Mi hanno dato un cavallo, tre spiegazioni su come fare e a disposizione almeno 50 km di altopiano , e devo dire che queste bestie corrono: eccome se corrono (peccato pero' solo quando ne aveva voglia).
Per lavarmi c'era il lago che era freddo da impazzire ma lo scenario faceva dimenticare un po' tutto. In giro per l'accampamento tutti i bambini che giocavano con gli animali, mentre la madri, (tra i 16 e i 20 anni) a lavorare dall'alba alla sera. La sera dentro la yurt (fuori non se ne parlava proprio) a lume di candela con questi grossi uomini Kirgiki dal volto bruciato dal sole a bere vodka. Bisognava brindare dicendo qualcosa, rigorosamente in russo, (anche il Kirgiko era accettato).
Io di quelle sere non ricordo molto......
Adesso sono tornato alla civiltà, e dormo a casa di una sciura (non c'e' altra scelta) che mi tratta come un re: la casa e' pulita e molto carina, anche il bagno (una tavola di legno forata dentro una casetta in giardino) ha a suo modo il proprio orgoglio. E quando sono entrato ho notato pure una lampadina che penzolava dal soffitto.
Ieri sera stavo cenando e stava facendo buio, quando il figlio entra con una candela e mi dice che e' meglio del lampadario; poi quando torno in camera per leggere e provo ad accendere la luce mi accorgo che in casa non c'e' energia elettrica. Probabilmente l'unione sovietica nella sua ritirata si e' portata via anche quella............

alby





FRONTIERE SCONOSCIUTE (CHINA- KAZAKHSTAN)


Dicembre 2006, Shaanxi (China)

....5200 km e' la distanza ferroviaria tra Almaty (Kazakhstan) e Pekino (China), cioe' una spezzata che da Occidente a Oriente taglia quasi orizzontalmente i 10 milioni di km2 dell'infinita China.

Atterrati in Kazakhstan un vuoto lungo treno inizia il viaggio verso la China. Dopo una 15ina di ore, si ferma e seri militari salgono per la solita routine: perquisizione dello scompartimento, dei bagagli e controllo dei visti. Fuori abbiamo visto scorrere per quasi tutto il viaggio un paesaggio lunare: deserto sabbioso coperto di neve e laghi completamente ghiacciati.
La cosa si fa lunga e, stufo del solito tea, scendo a cercare qualcosa da mangiare. Siamo a Dostyk, una di quelle cittadine di frontiera che non ti fanno venir voglia di rimanerci. Nonostante sia vestito da attraversata artica sento molto freddo (sui -15C) soprattutto per il vento gelido che lucida il ghiaccio che ricopre un po' tutto.
In giro solo qualche gruppo di militari. Chiedo a loro e arrogantemente mi indicano un anonimo emporio poco piu' avanti. Dentro: tante bottiglie di vodka, uova, salami, grandi pagnotte e poche altre cose. Le commesse sono russe cafonissime (ovviamente) e quelli che vogliono comprare la vodka non fanno altro che rubarmi il posto.
Mi chiedo chi possa vivere qui?
Risalgo sul treno e mentre mi sto scongelando entra ancora un altro militare, ma questo e' giovane e soprattutto ha una gran voglia di chiacchierare. L'attesa e' davvero lunga e lui non ha fretta, cosi' ci racconta:
"Ho 23 anni, ho fatto il servizio militare e poi ho deciso di servire il mio paese come guardia di frontiera.
Vivo ad Almaty (ndr: 15h da li') e ritorno a casa una volta all'anno per 30gg quando il mio capo mi dà il permesso. Qui a Dostyk non e' male: anche se non ci sono hotels o ristoranti c'e' un locale, dove la vodka scende giu' a fiumi (ndr: e non stento a crederlo)."
"Le donne? Preferisco Almaty, ma cmq qui una 30ina c'e' ne sono... a me (ndr: e agli altri 200 militari arrapati) piace la cameriera del locale, forse l'unica carina"
Sembra quasi inorgogliosirsi dicendo:" questo e' uno dei 5 posti peggiori al mondo per le condizioni climatiche: fino a -40C d'inverno e fino a +40C d'estate. Non e' una bella simmetria? Io adoro incontrare stranieri: il passaggio di frontiera via strada non gli e' permesso, ma in treno qualche volta ne trovo. In estate piu' frequentemente, mentre in inverno diciamo uno al mese passa da qui".
Mentre mi parla penso che le persone come lui siano completamente tagliate fuori e ti immagini tutta la sua confinata finestra sul mondo, poi esordisce e rimango basito:
"ho sentito che in Italia hanno introdotto la legge contro il fumo nei locali pubblici, come va? "
Stiamo uscendo da quella che prima era la grande Russia e quindi cambia lo scarto ferroviario. L'ingresso in Bielorussia lo scorso inverno mi aveva gia' svelato il trucco: le carrozze vengono sollevate, tutto il telaio inferiore con le ruote tolto e poi sostituito. Il tutto mentre tu stai comodamente a nanna nelle coperte e non osi spostare la sbiadita tendina delle ferrovie Kazake per guardare fuori dal finestrino quei poveri cristi dei meccanici a schiattare dal freddo.
Solo dopo piu' di 10 ore tra attese, controlli e cambi ruote, il treno si inoltra nel deserto Cinese. E In tutto saranno 33 le ore di viaggio fino alla prima grande città.

E' buffo arrivare in quei posti in China che sulla mappa sono un insignificante puntino in mezzo al nulla, a tal punto che tracciando l'itinerario ti chiedi se avranno stazione ferroviaria o ci sara' da dormire, e poi quando sei lì realizzi che sono citta' da 3 milioni di abitanti. Dimenticate Hong Kong o Shanghai da questo punto della China si fa prima ad arrivare in Europa che nei due colossi (e non scherzo). Cambiare I soldi solitamente non e' mai un problema ma questa volta proprio non si poteva se non alla Banca Centrale Cinese.
E andiamo in questo diavolo di posto!
Enorme edificio in un centro citta' stile New York al cui interno una lunga striscia di sportelli, mi metto in coda e subito focalizzo un buffo display di fianco al vetro di ogni sportello: sono 4 stelline luminose e sotto dei pulsanti con addirittura anche la scritta in inglese:

Molto soddisfatto

Nella media

Insoddisfatto

Osservo, ci penso, realizzo il meccanismo: incredibile!!!
Praticamente alla fine valuti il servizio e le stelline si illuminano di conseguenza secondo la media delle valutazioni. Insomma se sei una sega, tieni mezza stellina su 4 illuminata e chiunque entri nella banca lo vede immediatamente. Al ritorno proporrò di adottarlo anche in ufficio, magari con un bel display che da' pure sull'esterno. Ufficio a parte, la tipa dello sportello mi ha risbattuto indietro I miei soldi Kazaki con uno sguardo pure un po' schifato. Mi sono girati cosi' tanto i maroni che mi sarei incollato al pulsante del non soddisfatto da fargli spegnere tutte le stelline.
Ma non ne ho neppure il tempo quando un tipo da dietro mi chiama, ha in mano una spessa mazzetta.
Non ci posso credere eppure e' vero.
Il cambio in nero lo fanno addirittura dentro la banca, senza alcuno scrupolo. E hanno anche le valute che la stessa banca cambia.
Cambio questi benedetti soldi, ma lui non ha gli spiccioli. Dove li va a chiedere? Ovviamente allo sportello del cambio della banca.

E' gia' un decina di giorni che siamo in viaggio e oggi abbiamo incontrato il primo straniero da quando siamo partiti: e' un simpatico inglese che viene dal freddo Tibet. Abbiamo attraversato gran bei posti e sono tanti i ricordi che si affollano: dalla cittadina in un oasi in mezzo alle altissime (un migliaio di metri) dune sabbiose coperte di neve la cui specialita' e' il 'brasato di zampa di cammello, al paesino in cui non c'era possibilita' di avere acqua calda e la contrattazione della camera ha incluso termos di acqua bollente per lavarci.
E dove le volete mettere le montagne russe di un parco di divertimenti (rigorosamente per adulti) a pedali??
Ma non fatevi ingannare la China non e' l'Africa, anzi cavalca sempre piu' veloce. Muovendosi nel paese e' evidente come qui in passato si sia sofferto e non poco. Ora le cose sono diverse; adesso e' il loro turno, vedono uno spiraglio di benessere, e non se lo lasceranno sfuggire.

Alby



 

UN MUZUNGU NELLA TERRA DEI GORILLA (RWANDA)

Giugno 2004, Kampala


...Africa, Africa, Africa, ma perche' e' sempre cosi' dura scoprirti???

E' un po' che oramai sono in viaggio: atterrato in Uganda ho proseguito via terra verso il confine Rwandese.
Lo so che il termine Rwanda suona come sinonimo di guerra e disperazione, e che un viaggiatore che procede in sola compagnia della sua inseparabile zanzariera e' dato per spacciato molto in fretta.
Ma non e' cosi',.... almeno non completamente :-)
E' vero che questo paese ha recentemente vissuto dei drammi, ma la gente e' riuscita a reagire con un ottimismo e un sorriso che non passa inosservato. Anche le centinaia e centinaia di prigionieri che sono ovunque a lavorare, indossano dei completini rosa con relativi shorts che fanno dimenticare chi li guarda che sono ai lavori forzati.

La prima parte del viaggio e' stata stranamente tranquilla ed ero anche abbastanza sorpreso, tra l'altro di aver incontrato pure un bianco (Australiano) diventato velocemente un ottimo compagno di viaggio, anche se altrettanto in fretta ci siamo dovuti separare. Infatti io mi sono diretto la parte piu' selvaggia del paese, quella orientale al confine con il Congo. Ed e' allora che le cose non sono andate piu' cosi tanto lisce.
Una mattina mi alzo molto presto, devo raggiungere una cittadina a una 90ina di km da dove mi trovo. Dovrebbe esserci un mezzo; qualcuno mi ha detto alle 6.00 qualcuno alle 7.00, qualcuno alle 14.00. Giusto per non sbagliare sono alla stazione (gare routiere) alle 6.00. Un' enorme area sterrata usata anche come dormitorio; mentre arrivano i primi furgoncini la gente si sveglia fino per diventare in poco il posto piu' frenetico di tutta la citta'.
Gia' a 100 m di distanza inizio a sentire risuonare la parola "mzumgu" e non saranno state molte le persone nei dintorni che non fossero venute a sapere che "un bianco stava gironzolando da quelle parti".
Mi siedo per terra nella grande sterrata e aspetto arrivi il mezzo, mentre come al solito c'e' la passerella di persone che passa a guardami piu' o meno con la stessa curiosita' con cui poco tempo prima io guardavo i gorilla nella foresta.
Gia' verso le 7.00 decine di mezzi di ogni tipo arrivano e partono e io ogni tanto chiedo se ci sia quello per la mia destinazione, ma nessuno sembra saperlo. Dopo 2.30h invece ecco arrivare un enorme bus giallo donato 20 anni prima da Giapponesi al Rwanda (almeno cosi' era scritto sulla fiancata). Un'altrettanto enorme folla (150 persone(?)) si getta contro la portiera e tenta di salire. E' un inferno, gente che si tira di quelle gomitate da staccare la mascella. io decido di starne lontano. Le mamme con i bebe' avvolti in un lenzuolo dietro la schiena sono le piu' pericolose: picchiano a manate chi gli sta di fianco senza pieta' piuttosto di passare . Io mi ritrovo tipo ultimo di un grande imbuto che finisce schiacciato contro la lamiera del bus. Proprio mentre pensavo che questa volta non sarei davvero mai riuscito a salire, sento a mo' di eco un passaparola lungo tutta la coda."mzumgu, mzungu,…".
E' il grassissimo conduttore che a calci tiene tutti giu' dal bus per farli entrare uno ad uno riscuotendo il biglietto. Lui ha visto una macchia bianca in fondo e vuole che mi sia data la precedenza. Si apre un canale tra la folla e io mi sento un po' Mose', mi faccio avanti chiedendo il perche' e tutti mi invitano a passare (pure le temibili mamme con bebe').
Mentre sono davanti alla porta preso dallo sconcerto, sento un qualcosa toccarmi i pantaloni. Abbasso lo sguardo, mica becco uno che mi sta fregando i soldi? Ha un po' di mie banconote, io gli afferro la mano, lui lascia i soldi e io mi ritrovo a non sapere se preoccuparmi di quel giovanotto ben vestito o pensare al bus.
Senza dire nulla gli lascio la mano, mi prendo i soldi e salgo.
Ci e' voluto un ora per impacchettare tutti nell'autobus, quando vedendo la gente letteralmente soffrire ringrazio dio di avere un posto seduto. Il bus parte, fa una decina di km in una strada sterrata e si ferma. una decina di altre persone devono salire. Io penso che sia impossibile e invece ce la fanno. Sull'autobus non si sente altro che la gente che parla del mzungu e ogni movimento che faccio tutti si girano a guardarmi. Quando ho bevuto, devono aver scoperto con grande stupore che anche i bianchi bevono. Onestamente ero un po' irritato...
Ad un certo punto l'autobus si ferma. Si e' fuso il motore non si puo' piu' proseguire. Siamo in un desolatissimo villaggio di montagna e scesi tutti sono rimasto da solo sul bus. Decido di scendere anch'io. Appena metto piede per terra sento lo stupore generale delle persone del villaggio riunite tutte intorno stile anfiteatro.
Sono molto imbarazzato e non so cosa fare. Una ragazza ridendo corre verso di me e mi da in mano una specie di bambu'. Mi fa cenni di spelarlo con i denti, io ci provo, non mi riesce, tutti ridacchiano divertiti dalla scena. Lei lo prende e lo spela a furia di ganasciate facendo emergere la polpa bianca e me lo restituisce.
Si forma un circolo intorno a me con un ragazzo che fa da traduttore. Io spiego che vorrei comunicare con le persone ma mi e' difficile.
Un signore si fa avanti con la prima domanda e cosi' inizia una conversazione con il villaggio e passeggeri del bus.
Ma quando dopo un bel po' arriva un bus sostitutivo (piu' piccolo) io mi ritrovo ancora ultimo e questa volta il conduttore a far da domatore non c'e'.
Questa volta mi ritrovo in piedi schiacciato come una sardina. L'autobus sta per partire e ho tutti gli sguardi verso di me. Sguardi di compassione come se fossi l'unico a soffrire. La parole mzungu rinizia a circolare. Sento un po' di trambusto intorno a me. Capisco che c'e' un problema. Le gente non vuole che il mzungu stia in piedi.
Inizia una discussione intorno a me, fanno alzare di forza uno per trovarmi il posto.
Io rifiuto.
La gente non capisce e insiste e io ancora rifiuto. Con il mio francese stentato spiego che non c'e' ragione perche' tra me e loro non c'e' differenza. Un signore schiacciato da soffocare insieme agli altri mi risponde:
" Noi siamo Africani, tu no".
Io rifiuto ancora e ho l'impressione che proprio nessuno abbia capito.
Il viaggio durera' in tutto 9 sofferenti e interminabili ore...

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Prima di partire avevo letto un report di un tipo circa una specie di memoriale sul genocidio. decido di andarci. Con i mezzi arrivo nei pressi del confine con il Burundi a 30 km da questo luogo. Contratto con un ragazzo in motorino. Lui mi dice di sapere dove' e mi ci porta.
Siamo in mezzo a delle verdissime colline coltivate a banani e corriamo per un po' lungo una strada prima asfaltata poi sterrata, fino alla sommita' di una collina dove si trova una ex scuola. Mi viene incontro un signore evidentemente zoppo. Non e' di molte parole e mi accompagna fino ad una porta di ferro. Capisco che si tratta di una ex aula.
Gli Hutu hanno fatto una strage, mi dice.
Lui apre la porta ma non entra, io faccio un passo dentro quando subito sento un odore fortissimo. Roba da far venire da vomitare, metto a fuoco e vedo una moltitudine di cadaveri su assi di legno, che riempiono tutta la stanza.
Sono cosparsi di polvere di gesso, ma molti hanno ancora i capelli. Sono impressionanti, perche' si possono riconoscere gli adulti dai bambini e vedere le loro espressioni, le posizioni delle mani, la postura nel momento in cui erano morti. Certi rannicchiati, altri abbracciati.
La maggior parte sono stati uccisi a colpi di macete e infatti si vede il cranio fracassato. Non ce la faccio a rimanere troppo dentro: dopo qualche minuto esco.
"Sono stati uccisi in un giorno e mezzo 27.000 Tutsi, ne abbiamo tenuti 1.800, in tutto sono 24 stanze piene", mi dice sottovoce.
Tra di loro c'e' tutta la sua famiglia, lui invece e' scappato nelle montagne. Mi apre altre stanze, in una c'erano solo bambini, alcuni piccolissimi....
Dopo una decina di stanze mi sento nauseato, e non mi viene neppure in mente di tirare fuori la macchina fotografica. E quando lui mi chiede perche' non faccio foto, sorpreso io gli rispondo che non sapevo se fosse il caso.
Lui reagisce con una rabbia che sembrava sepolta:
" Devi fotografare e soprattutto devi raccontare perche' tutti devono sapere!!"

Alby



 

NOTTE INQUIETA IN TRENO (BIELORUSSIA)



Marzo 2005, Brest

...forse bisogna proprio cercarla una buona ragione per viaggiare in Bielorussia o forse non serve neppure una buona ragione se non vedere e tentare di capire come una paese grande piu' o meno quanto l'Inghilterra, che fino a 15 anni fa era la capitale industriale della Russia occidentale, ora si inserisca anonimamente in quel puzzle di stati dell'ex URSS.
La sera quando a Warszaw e' arrivato il treno che mi avrebbe portato a Minsk (capitale della Bielorussia), ero sorpreso nel vedere che fosse un treno russo: carrozze azzurre, tendine a pizzo bianche, passatoia rossa lungo il corridoio e fiori finti impolverati.
In 5 o 6 ore si arriva al confine, dove si aspettano le solite due ore in controlli di documenti, visti, dichiarazioni varie di valuta, cellulari, macchine fotografiche, loro domande senza mie risposte... ma poi alla fine si riparte, oramai e' notte fonda e io mi metto a dormire, con ancora quasi 10 ore di viaggio davanti. Non e' passato però molto tempo e la mia carrozza inizia a prendere dei colpi da farmi quasi cadere dalla brandina. Ho avuto quella strana e spiacevole sensazione che il mio vagone fosse staccato dagli altri. Nello stesso momento entra la controllora, rigorosamente Bielorussa, accende la luce, urla ad alta voce non so cosa, sposta i bagagli per terra e alza la consumata passatoia rossa fino a trovare una specie di tombino. E poi se ne va. Nel frattempo guardo fuori dal finestrino e vedo che il vagone, effettivamente separato dagli altri, entra in una specie di enorme officina, con a lato una schiera di operai. E' notte e mi sento un po' intontito. Spengo la luce e mi rimetto a dormire.
Non se ne parla neppure. Entra un frettoloso e congelato operaio che riaccende la luce, alza il tombino e tira fuori un perno d'acciaio da mezzo metro largo una spanna, poi esce. Dopo un minuto ho ancora una spiacevole sensazione: il mio vagone si sta alzando e non di poco. Vedo gli operai fuori scendere in basso... mi vesto, esco dallo scompartimento e vedo un altro vagone sollevato a un metro e mezzo, senza tutta la parte inferiore, ruote mica ruote e ammennicoli vari. Dopo poco con un argano e' trainato un nuovo telaio e riabbassato il vagone.
La riparazione di un guasto??
No, normale routine: in Russia lo scartamento dei binari e' piu' largo e quindi ai treni che attraversano la frontiera cambiano le ruote con tutta la struttura inferiore. Tempo impiegato per tutto il treno: 2 ore. Ritorno a dormire, dopo 2 ore rientra un altro operai, riinfila il pernone, e io mi addormento.
La mattina mi sveglio e il treno corre lungo la pianura innevata. Qui l'inverno non e' finito.
Sul treno conosco un tipo che ha un amico alla stazione che mi presenta a sua volta un amico:
"Chi ti aspetta qui a Minsk?", domandano
"Nessuno", gli rispondo
"Cosa!! sei matto? Ti porto a casa mia"
E infatti mi a portato nel suo appartamento nella triste ma bianca periferia di Minsk. La moglie mi offre la colazione e il figlio di 11 anni timidissimo non osa dire una parola. Lui e' un professore, insegna ai cechi, mi accompagna all' accademia e poi all'università'. Vuole che rimanga a dormire a casa sua, ma ovviamente non se ne parla neppure. Alla fine mi trova un posto in una pensioncina dove ospitano i visitatori dell'istituto in cui lavora.
Minsk, come un po' tutta la bielorussia e' una stato di polizia sotto la dittatura di un infame di nome Lucashenko che nel 96 si e' dato tutti i poteri togliendoli al parlamento con un referendum fittizio, che neppure che la comunità europea ha riconosciuto. Ha cambiato la bandiera, la festa nazionale e ha imposto il russo come lingua ufficiale (solo il 10% delle scuole insegna in Bielorusso). Ora qui di liberta' c'e' ne e' poca. Sventolare la bandiera, anzi la ex bandiera nazionale e' reato! Ma alla gente questo non piace e nella capitale si vive un po' di tensione.
In centro c'era una manifestazione, anzi direi una mezza rivolta e la cosa piu' incredibile e' che le centinaia di militari non erano schierati tanto contro i manifestanti, ma erano allineati lungo il perimetro delle strada, spalla contro spalla a formare un muro, per evitare che i passanti si unissero. Tutta la gente era ferma come a sostenere i manifestanti con lo sguardo o urlando "Bielorussia libera" mentre la polizia li caricava. Ho trovato un ragazzo che parlava inglese:
"Entrare nella comunità europea, questo e' quello che veramente vogliamo, fortunati vuoi in Italia...." se sapesse quanto poca consapevolezza c'e' di questa fortuna da noi, smetterebbe di invidiarci.
Ho viaggiato da Minsk verso il confine polacco nella campagna Bielorussa: con tutte le sue casettine di legno colorate che riescono a risultare quasi caratteristiche. Non facile trovare da dormire, sporadici i mezzi pubblici, poco succulento il mangiare. Stranieri ben pochi e viaggiatori ancora meno, ma la Bielorussia ha voglia di cambiare,e in questo e' molto differente dalla ex mamma russa; lo si vede nella gente, ma un po' meno nel governo.

Alby




 

IN GIRO PER IL KASHMIR (INDIA)



Agosto 2005, Kolkata (Calcutta)


Finalmente atterro nella stranominata India, desiderioso di assagiarne anch'io la mia fettina...
In realta' ci atterro due volte perche' da Delhi, dopo non molte ore, ridecollo verso la capitale del Kashmir, il tanto conteso territorio tra Pakistan e India.
Sono i primi anni ke gli stranieri hanno ripreso a tornare in questa strana terra immersa nella catena Himalayana e tanto tormentata dalla guerra specialmente negli anni 90. Ho chiesto molte opinioni in rete perke' fino all'ultimo sono stato abbastanza indeciso se convenisse andarci e i pareri discordanti non mancavano. In particolare mi avevano parlato di una massiccia presenza militare, ma quello che ho trovato al mio arrivo proprio non ma lo aspettavo.
Quando l'aereo inizia la discesa lo spettacolo del K2 che svetta non molto lontano e' affascinante.
Scendo dall'aereo.
Srinagar, nonostante i suoi 1800m, e' abbastanza calda, ma piacevole.
Mi chiedono di registrare la mia presenza e qualche altra formalita'; devo rilasciare un recapito locale, non ce' l'ho.
E' un problema, non si esce dall'aeroporto se non dici dove stai andando. Con me avevo una mail di un tipo che mi aveva consigliato un posto, lascio quello, sono contenti ed esco.
Nel viaggio verso la citta' rimango a bocca aperta: presenza militare??? e questa la chiamano presenza militare? Io lo chiamo schieramento completo dell'esercito pronto per una difesa della citta': meno di ogni 50 m c'e' un militare su entrambi i lati della strada e almeno ogni 10 militari c'e' un posto di blocco con casetta di sacchi di sabbia e barriere.
Il taxi deve fare una continua serpentina a cui sembra abbastanza abituato, rallentando e scambiando due parole con il militare di turno.
Le strade sono completamente deserte: niente macchine, niente mucche vaganti, niente carretti, insomma niente di niente, solo tante armi e filo spinato ovunque: c'e' qualkosa ke non capisco. Nessuno mi avrebbe mai consigliato di venire in un posto dove praticamente non posso camminare.
Seguo un tipo che mi ha offerto un posto da dormire sulla sua casa galleggiante. E' un signore anziano, sembra in buona fede: mi fido. La sua houseboat e' praticamente sotto un grande ponte: obbiettivo militare e quindi nei 30m che faccio a piedi abbondano militari e filo spinato.
Lo fermano, si parlano, mi sorridono e proseguiamo.
La barchetta che mi propone e' carina: tutta in legno, "camera con bagno" , un piccolo soggiorno e non balla neppure tanto, inoltre ai pasti ci pensa la moglie:
"Va bene la prendo".
Lui, Yusuf, parla un discreto inglese, ci mettiamo a chiacchierare e subito inizia a 'fumare':
"l'hashish e' un dramma per me, ma non riesco a smettere, troppi problemi" mi dice, intuisco che qui non e' l'unico a farsi dalla mattina alla sera.
"Domani e' la giornata dell'indipendenza indiana,(15 ago) ci sara' il primo ministro e la parata militare, tutto il Kashmir e' in sciopero per protestare per l'indipendenza. E' tutto fermo."
E adesso mi e' tutto piu' chiaro: la possibilità che domani ci sia un attentato e' assoluta.
Il Kashmir non apparteneva agli Inglesi, ma era un principato a se' incastonato nelle montagne Himalayane tra Pakistan e India che apparteneva ad un Maraja'. Quando c'e' stata l'indipendenza Indiana hanno lasciato a lui decidere a chi conglobarlo, Questo ha fatto l'indeciso per anni, allora meta' se lo sono cuccato con la forza i Pakistani, agli Indiani non ha fatto piacere e quindi dal '48 si sono messi a fare la guerra. Poi l'ONU con la penna ha tracciato sulla cartina un bella linea che lo separava (come ha fatto per la Bosnia), ma nessuno ha capito che valli appartenevano ad uno e quali all'altro e quindi ancora guerra, fino al suo apice nel 92. Ora sembra vada meglio, ma gli eserciti sono ancora schierati lungo questa linea chiamata "control line"e si ammazzano a oltre 5000m.
Voglio fare un giro per la citta', la famiglia non mi sembra entusiasta e non mi fanno uscire senza avermi accollato il figlio. Pero' torna molto utile perche' parla con tutti i militari che ci fermano. Sono molto simpatici con me: sempre pronti a ricambiare un saluto o ha dare qualsiasi spiegazione.
Nessuno che mi abbia dato problemi.
La citta' e' veramanente deserta.
Torniamo a casa. La sera la cena non e' male, ma ben presto realizzo che non ho acqua da bere; voglio andare a comprarla, ma proprio questa volta non se ne parla.
La famiglia e' categorica, alle 20.00 c'e' il coprifuoco e non si esce.
Inutile frignare!!
Vado a letto.
La mattina dopo mi sveglia la moschea alle 5.00 che spara la preghiera del mattino; il Kashmir e' rigorosamente musulmano e le donne hanno il chador ma non e' obbligatorio per legge.
Mi riaddormento, ma verso le 7.00 altra sveglia: il bivacco di persone su una barca accostata alla mia.
Mi affaccio dal letto.
Sono militari e mo' che vogliono?
"Escort, escort!!!" mi dice Yusuf. Mo' abbiamo pure la scorta, speriamo non chiedano soldi e che non rumoreggino troppo perche' ho sonno.
Oggi non e' giornata da giro in centro per ovvie ragioni quindi e' meglio farsi un bel giro in barca lontano lontano.
Colgo la proposta di Yusuf e andiamo.
Srinagar e' famosa per essere una specie di Venezia sull'acqua. E' la meta tipica di tutte le coppiette indiane in luna di miele; e' strapieno di case galleggianti con tutto il loro contorno, ank'esso galleggiante. Quindi non mancano barche negozio che vendono di tutto. In piu' se ci si aggiunge come sfondo le montagne Himalayane, la cartolina e' completa.
Non pensate alla tipica India, Srinagar avvolta nel suo Islam, e' molto piu' Pakistana che Indiana.
Stiamo in giro fino alle 7.00 di sera.
In citta' la bomba e' scoppiata la mattina allo stadio dove c'era l'alza bandiera.
Il giorno dopo la citta' si smilitarizza e si torna alla normalita': le strade si riempiono di ogni sorta di veicolo, essere umano o animale che circola liberamente. Sempre tanti militari ma non cosi' tanti.
Dopo qualke giorno parto per in direzione Ladak, quello che chiamano "il piccolo Tibet".
2 gg lunghissimo di autobus su strade scavate ai lati delle montagne.
Viaggio mozzafiato e un po' di ansia in qualke punto.
Esco dalla zona Musulmana ed entro in quella Buddista. Cambia tutto di colpo. Alle moschee si sostituiscono i monasteri, ai veli che coprono le donne, i rossi mantelli dei monaci e alle preghiere urlate dal minareto 5 volte al di', il sussurrare dei monaci accovacciati leggendo i testi sacri.
Mi fermo un po' di giorni in un paese a 3400m. Ho il fiatone per l'altezza, ma molti turisti, anzi troppi.
Altri 2 gg massacranti di cui un bel pezzo sopra i 5000m (un passo a 5400m). Tanti stranieri che si sono dimenticati di tornare a casa, e che si fumano il loro hashish sul balcone delle guesthouse.
No, non e' l'India che cercavo: cioè quell'India che devi odiare prima di amare o che poi alla fine odi e basta, quell'India che deve essere il peggiore o il migliore paese che abbia visto, quell'India che non puo' stare in mezzo.
Insomma cambio rotta.
Cestino l'itinerario e parto per un altro luunngooo viaggio di 2gg per andare dal confine con il Pakistan a quello con il Bangladesh, esattamente dall'altra parte del paese: destinazione Kalcutta!!
Lo so bene che a Kalcutta in questa stagione ci sono i monsoni e si muore dal caldo, insomma che sei un po' scemo se vai a Kalcutta adesso, in generale sei un po'scemo se vai a Kalcutta. Ma per me rappresenta l'India che voglio vedere.
E ci sono arrivato sperimentando tra l'altro anke un bel viaggio di 20h in treno assolutamente non male con allegata infinita chiacchierata con due sciure e giovanotto sull'approvazione dei genitori delle fidanzate prima di frequentarsi, con tanto di resoconto sui relativi stipendi e sui possedimenti (lo sapevate che puo' fare la differenza il tipo di macchina posseduta per l'accettazione da parte dei genitori?).
Scendere dal treno a Calcutta e' stato un shock: cercavo la vera India, bene eccola qui! In confronto la stazione di Delhi era il chiostro dell'oratorio. Un bel display che segnava l'umidita' a 101% e la temp a 33 C mi ha dato il benvenuto. In citta' ci vivono sui 14 milioni di persone e penso che almeno un campione di ogni tipologia fosse in piedi o sdraiato in qualke punto della stazione. Abbondano le menomazioni e gli odori, roba proprio di chiudere gli okki e camminare, ma guardando ki o kosa calpesti.
Considerando che non c'e' persona che non si lavi in strada e che ci faccia tutto quello che ci deve fare, camminare per la citta' fa abbastanza vomitare, soprattutto appena arrivati.
Ma la gente non e' disperata come sembra. E' il loro modo di vivere. Infatti per le strade nessuno ti assale; c'e' rispetto e cortesia anche scattando una foto che a noi puo' sembrare davvero sconveniente. Inoltre se la si guarda con altri occhi, cioe' quelli della filosofia hindu, del continuo ciclo della vita e della morte indistintamente per gli umani che per gli animali, allora ha il suo fascino ed e' tutta da capire, o almeno da osservare.


alby

PS: per le mie care nonnine che guardano sull'enciclopedia dove e' andato il nipote :
New Delhi-(flight)- Srinigar-(bus)- Gunmarg--(bus)- Srinigar- -(bus)- Sonmarg- -(bus)- Kargil--(bus)- Leh-(bus)- - Manali--(bus, via Mandi)- New Delhi---(train)- Kolkata (Calcutta)--(train)- - Varanasi---(train)- New Delhi (Agra)